"...un punto di riferimento fondamentale..."

Quando incontrava un giovane studioso, avviato alla carriera universitaria o alla professione di magistrato o avvocato, amava presentarsi con nome e cognome: "Piacere, Vittorio Grevi". Una piccola civetteria, nella certezza di essere già noto come prestigioso autore di opere giuridiche e pubblicista autorevole, nonché, in particolare, come curatore, insieme a Giovanni Conso, di un apprezzato manuale di procedura penale adottato da anni in molte università. Per un laureato che ha terminato da poco gli studi fare la conoscenza personale di un professore famoso che fino a quel momento era un nome in copertina è sempre un momento emozionante, che inevitabilmente mette in soggezione. Ma l'amabilità di Vittorio Grevi e il sincero interesse che mostrava per l'interlocutore erano tali che di lì a poco la conversazione proseguiva con la massima naturalezza, come fra conoscenti di lunga data. E' questo, forse, uno dei tanti motivi per cui chi ha avuto la fortuna di frequentarlo lo ricorda con grande affetto, come testimoniato dal gran numero di studenti ed ex alunni che hanno partecipato all'ultimo saluto al professore nella sua Università di Pavia martedì scorso, insieme alle molte personalità, ai magistrati, agli avvocati e ai colleghi giunti da ogni parte d'Italia.

Vittorio Grevi appartiene a quella generazione di giuristi che ha profondamente innovato lo studio del diritto processuale penale, nella stagione, tra la fine degli anni sessanta e gli anni settanta del secolo scorso, nella quale i principi costituzionali del processo vengono con decisione posti al centro dell'elaborazione scientifica, rappresentando la bussola alla quale affidarsi nella costruzione di un sistema fondato sulla salvaguardia delle garanzie individuali. E' in questo periodo che vedono la luce i volumi "Nemo tenetur se detegere. Interrogatorio dell'imputato e diritto al silenzio nel processo penale" (1972) e "Libertà personale dell'imputato e Costituzione" (1976), che ancora oggi sono punti di riferimento imprescindibili per gli studiosi della materia. E proprio negli anni settanta comincia a diventare pressante, sulla spinta della migliore dottrina, l'esigenza di una riforma organica del codice di procedura penale, volta ad abbandonare il vecchio processo di matrice inquisitoria e ad attuare la Costituzione e le Carte internazionali sui diritti dell'uomo. Grevi partecipa alla stesura del progetto preliminare del 1978, rimasto sulla carta, e successivamente alla stesura del codice del 1988 attualmente in vigore.

La sua posizione è stata sempre coerentemente garantista, grazie alla salda consapevolezza dei principi, anche in tempi nei quali quel termine suonava quasi come eversivo. Ma non tollerava i garantisti di comodo, moltiplicatisi negli ultimi anni con l'obiettivo primario di assicurare l'impunità al potente di turno. Per questo si è sempre battuto, non solo in sede scientifica, ma anche attraverso il giornale in cui scriveva, contro le manomissioni del codice destinate ad ostacolare l'attività di accertamento dei reati senza apprezzabili ragioni di tutela dei diritti fondamentali dei cittadini: da ultimo, lo sciagurato disegno di legge sulle intercettazioni, alla fine arenatosi in parlamento. Non tutte le sue opinioni erano necessariamente condivisibili, anche se, nonostante il disaccordo, non si poteva fare a meno di riconoscergli una grande onestà intellettuale. E così come, pur non essendo facile fargli cambiare idea, non aveva difficoltà ad ammettere un errore, allo stesso modo non cercava mai di prevaricare le opinioni altrui, senza però rinunciare a convincere della bontà delle proprie.

Il suo impegno civile si è ripetutamente manifestato anche mettendo le proprie competenze giuridiche al servizio delle istituzioni (forse, dati i tempi che corrono, è il caso di precisare che non si trattava di lucrose "consulenze", ma di prestazione d'opera gratuita, che fruttava al massimo un rimborso delle spese di viaggio, per giunta tardivo e incompleto). Altri lo hanno già detto e scritto, eppure va detto ancora e ripetuto: aveva i meriti per accedere ai più alti incarichi, non ultima la Corte costituzionale. Ma era evidentemente considerato poco affidabile, oltre che dalla destra, anche dalla sinistra, essendo abituato a ragionare con la propria testa - secondo la più nobile tradizione accademica - e mostrandosi poco incline ai compromessi: non avrebbe mai tradito le sue convinzioni scientifiche per motivi di opportunità politica. Adesso tutti, a destra come a sinistra, sono pronti a riconoscerne le grandi qualità di giurista e di uomo.

Chiunque gli si rivolgesse per un parere, un'interpretazione, o un semplice consiglio trovava quasi sempre una risposta utile. Non solo per l'ampia preparazione e il costante aggiornamento, ma anche per l'attenzione dedicata ai risvolti pratici del diritto processuale penale. Pur non avendo mai esercitato la professione di avvocato - scelta deliberata per non rischiare di esserne condizionato nella facoltà di giudizio - era sempre in contatto con la realtà operativa e con i problemi quotidiani della giustizia, ma senza venir meno al rigore metodologico e all'ordine sistematico che caratterizzavano il suo magistero universitario: coniugare la teoria con la pratica è del resto la funzione specifica dello studioso del diritto, e specialmente del processualista. E ciò trova riscontro anche nella sua attività editoriale, che annovera, fra l'altro, la cura del "Commentario breve al codice di procedura penale" e del relativo "Complemento giurisprudenziale" e la condirezione dell'autorevole rivista "Cassazione penale".

Sarebbe troppo lungo elencare anche solo le sue pubblicazioni più importanti. Meglio ricordarne l'infaticabile attività di organizzatore, di volumi collettivi e di collane, di progetti di ricerca e di attività didattiche. Oggi è diventato di moda diffamare l'intera università italiana, trasformata inopinatamente, e per la maggior parte dei casi ingiustamente, in capro espiatorio dei mali della nazione: cosa ancor più paradossale se si tiene presente il livello etico dei pulpiti dai quali scendono gli anatemi e la considerazione in cui viene tenuta la cultura nel nostro disgraziato paese. Ebbene, secondo la vulgata corrente Grevi potrebbe essere definito un "barone": cattedratico a 29 anni, decano della sua facoltà, rispettato dai colleghi della materia. Ed infatti ha creato una scuola di processualisti di alto livello che si sono affermati nell'università e nelle professioni, improntata alla ricerca scrupolosa e alla precisione scientifica, da conseguire con costante applicazione, messa al bando ogni approssimazione o superficialità. Ma pur nella convinta partecipazione alla politica accademica, Grevi non ha mai abusato del proprio potere, applicando la propria intransigenza morale in primo luogo a se stesso, e ha sempre riconosciuto i meriti dove li vedeva, anche se non si trattava dei suoi allievi.

E' stato un punto di riferimento fondamentale. Ci mancherà.

(G. Illuminati, Il riformista, 12 dicembre 2010)


Ricordiamo Vittorio Grevi

Tutti, certamente molti di noi l'hanno conosciuto e ciascuno ne ha un profilo che porta con sè e che può confidare agli amici.Innanzitutto, gli studenti e i suoi allievi. L'hanno incontrato e seguito le sue lezioni. Hanno conosciuto la sua severità e hanno capito che essa non era mai irragionevole o gratuita; se mai un richiamo costante alla "regola" dello studio, alla sua fatica e ai suoi traguardi, sempre spostati in avanti. Soprattutto gli studenti appena laureati che si fermavano da lui, facendo scuola, che entravano nel cantiere di studio progredito del processo penale, soprattutto questi studenti hanno conosciuto l'attenzione ostinata e premurosa di Vittorio.

Le vicende difficili della carriera universitaria o della vita professionale di alto livello, così aspre all'inizio e mai come ora incerte nelle prospettive, lo vedevano al fianco dei suoi allievi, sempre. Per loro, la sua presenza, pur nella naturalezza delle reciproche libertà, era un'armatura di protezione continua.

Davvero maestro, compagno, amico. Lo si è visto nella profonda commozione che la notizia della sua morte ha impietrito tutti quei giovani allievi, studiosi, lassù, nella stanza vicina a quella del professore.

C'è poi, il Grevi, protagonista della cultura giuridica. Qualche giorno fa abbiamo sentito le parole di Giovanni Conso e di altri suoi colleghi. Vittorio era da tutti stimato per la difficoltà e la delicatezza dei temi del processo penale da lui prediletti; per la chiarezza del suo pensiero, la calligrafica puntigliosità nella spiegazione dei vari istituti, sempre ancorata all'assetto costituzionale del sistema giudiziario, quasi fosse "cronaca" che si fa "storia" e vive di storia.

Proprio di questo assetto costituzionale della giustizia si era fatto interprete rigoroso e severo. Ecco perché a lui guardavano,come punto di riferimento, molti valorosi magistrati. E molti magistrati,insieme ad illustri esponenti delle Università, Vittorio riusciva ad avere a Pavia, in Ghislieri, per le sue iniziative seminariali;un esempio, non troppo frequente, di felice incontro fra scienza e pratica giurisprudenziale.

E, ancora, c'è il Vittorio dell'impegno civile che mi è caro ricordare in modo particolare. L'ho conosciuto quando lui si era appena laureato. Con il passare del tempo, e per varie circostanze, i nostri incontri si facevano più numerosi, la frequentazione più assidua.Quando, nella politica, mi è capitato di avere incarichi importanti,e in momenti difficili, Vittorio mi è stato collaboratore prezioso,con la sua perfetta conoscenza del tecnicismo giudiziario e, a monte, con la sua indiscussa autorità processualpenalistica.

Ricordo il contributo da lui dato alla formulazione della legge sui pentiti e di altri provvedimenti presi per rendere più efficacela lotta al terrorismo. Tutto ciò, sempre con riservatezza estrema e intelligente misura, come la sua straordinaria sensibilità gli suggeriva.

Uomo di grande discrezione, Vittorio. Fermo nei suoi convincimenti ma aperto al dialogo, all'ascolto meditato delle opinioni degli altri. Uomo di dialogo, certo, ma insofferente di ogni soluzione di comodo, di ogni calcolato compromesso, sinceramente addolorato quando avvertiva che altri, che pure apprezzava, non tenevano dritta la barra.

Questo suo rigore lo faceva estraneo ad ambienti, sempre più numerosi, dove le virtù repubblicane, i valori della convivenza istituzionale e democratica sembrano, quasi gioiosamente, dimenticati, soffocati da mediocrità, gesti scomposti, comportamenti ambigui,trasgressioni arroganti.

Forse questo suo essere "scomodo" gli ha impedito di venire considerato per incarichi istituzionali, che egli avrebbe onorato con piena sicurezza e trasparenza. Della qualcosa, tuttavia, ci siamo doluti più noi, suoi amici, di quanto lui non si sia contrariato.Vittorio andava "oltre"; era fatto così.

Ma l'impegno civile di Grevi, di cui è fortemente caratterizzatala sua personalità, si esprimeva, da anni, anche come opinionista del "Corriere della Sera". Quasi ogni settimana era sul giornale e tutti se lo aspettavano, soprattutto a ridosso di certe amarissime vicende del nostro Paese. E lui esprimeva giudizi sulle cose che, nel mostro mondo della giustizia, si susseguono incessantemente. Giudizi puntuali, taglienti, sempre argomentati e persuasivi. La manipolazione truffaldina della Costituzione, direttamente o indirettamentetentata, trovava, in lui, sempre una fermissima opposizione. La mancanza della sua voce si è subito avvertita; una voce insostituibile.

C'è, poi, il Vittorio della sua città, della sua Pavia, con tutte le cose bellissime che ne costituiscono l'insieme. "Con le sue piazzette... " (così egli diceva in quell'articolo sull'Osservatore Romano, nell'aprile di quattro anni fa, che è documento di una forza straordinaria, dove, tra l'altro, si legge: "una città giusto che sembra fatta apposta per potervi studiare e insegnare. In altre parole una città a dimensione di professore, oltrecchè di studenti, dato che per vari aspetti i due piani tendono a sovrapporsi"), "con le sue piazzette e le sue strade acciottolate, i suoi viali alberati, le sue torri, il suo Castello, le sue Chiese". C'è qui un tratto del profilo di Vittorio, per molti aspetti inaspettato, un segmento - ma un segmento pesante- per cui il "professore", non ha voluto abbandonare Pavia e la sua Università, e andare altrove, dove - si racconta - la gente conta di più.

Bravo Vittorio; sento rinnovata in me la vecchia amicizia, coltivata tra l'amore per l'Italia, e la sua storia, la Repubblica, il diritto, la trama delle istituzioni democratiche, la testimonianza della fede, sempre laicamente vissuta nel rapporto con gli altri. Ecco un altro aspetto della figura di Vittorio che si manifesta con discrezione, come sempre, ma con chiarezza e senza nascondimenti: la sua fede robusta di cattolico che sorregge e dà respiro a tutte le sue iniziative e alle sue lealtà.

A ben vedere, l'incontro di questa sera, promosso dalla "Tavola del dialogo" della Diocesi di Pavia, in questa libera e gloriosa Università, in accordo con il suo Rettore, è anche segno di quella fede adulta che Vittorio ha sempre testimoniato.

Ma, ora, il ricordo del suo impegno, forte e severo, deve farsi operoso. Nel silenzio delle parole, nella eloquenza dei comportamenti.

(V. Rognoni, Aula del '400 dell'Università di Pavia, 12 aprile 2011)