per Vittorio Grevi

PROF. ANGIOLINO STELLA, Rettore della Università degli studi di Pavia


Con profondo cordoglio l’intera comunità accademica si stringe oggi intorno alla famiglia di Vittorio Grevi per testimoniare, con questo estremo saluto, la stima, l’affetto, la riconoscenza per il contributo che il professor Grevi ha dato alla cultura giuridica e alla vita civile del nostro Paese. Desidero esprimere alla famiglia il sentimento delle mie più sentite condoglianze per la scomparsa non solo di un illustre giurista e studioso, ma soprattutto di un uomo con un radicato senso delle istituzioni e un forte impegno civile.

Mai avrei pensato di trovarmi in questa inaspettata e dolorosissima circostanza, a rendere l’estremo saluto a Vittorio Grevi.

È un saluto carico di stima, riconoscenza e affetto che gli rivolgo prima di tutto come Rettore, ringraziandolo, a nome di tutti, per la competenza, la passione e soprattutto l’orgoglio, che ha sempre manifestato, di far parte dell’Alma Ticinensis Universitas. L’Università alla quale ha dedicato più di quarant’anni della sua vita e per la quale ha sempre nutrito “un caldo sentimento di affetto, unito a un forte senso di appartenenza”.

Quella con l’Università di Pavia è stata come lui stesso ha scritto “un’avventura iniziata più di quaranta anni fa come studente, e proseguita da oltre trenta anni come professore di ruolo, dopo qualche anno di insegnamento a Macerata”.

Alunno del Collegio Ghislieri, Vittorio Grevi, dopo la laurea nel 1965 è infatti divento professore ordinario a tempo pieno di Procedura penale a Pavia nel 1974, dopo aver insegnato la stessa materia a Macerata. Socio fondatore dell'Associazione tra gli studiosi del processo penale è attualmente uno dei tre membri italiani (insieme a Giorgio Marinucci e Giuliano Vassalli) della Fondation internationale pénale et pénitentiaire. Si è sempre occupato di temi strettamente connessi all’attualità, alla giustizia e alla libertà personale. È stato componente delle Commissioni governative per il nuovo codice di procedura penale e di numerose altre Commissioni ministeriali in tema di giustizia penale.

Il suo impegno accademico si è sempre associato all’impegno civile, all’acuta, lucida riflessione sulle trasformazioni della società. Di questo dobbiamo essergli profondamente grati, perché dal suo speciale osservatorio, Vittorio Grevi ha voluto - ed è riuscito con straordinaria efficacia in questo - diffondere presso i giovani la consapevolezza e l’importanza dell’impegno civile.

I suoi seminari di Procedura penale presso il Collegio Ghislieri hanno portato a Pavia le voci più attuali, spesso anche scomode, del dibattito sulla giustizia nel nostro Paese, in particolare nella lotta contro la mafia: da Giovanni Falcone, a Piero Grasso, al pull di Mani pulite, fino ai recentissimi incontri “Mafie 2010”, organizzati insieme agli studenti, in cui ha dialogato con Roberto Saviano, Armando Spataro, Maria Falcone.

Illustre giurista, chiamato a dirigere riviste prestigiose e a collaborare con i principali quotidiani del nostro Paese (il Sole 24 ore e il Corriere della sera), Vittorio Grevi era profondamente legato a  Pavia, alla sua università e alla sua città. “Qui è immediata la sensazione dell’Università che vive dentro la città - ha scritto -  e si alimenta così anche nei docenti, proprio mentre si studia o si scrive, la speranza di poter in tal modo fare qualcosa di utile per il progresso della società civile, nella quale si è anche fisicamente immersi”.

Credo di interpretare i sentimenti di tutta la comunità accademica, ringraziando Vittorio per l’umanità, la competenza, la passione e lo stile. A me, come a molti, mancheranno i frequenti incontri mattutini nei cortile dell’Università, mentre raggiungevo il rettorato: bastava un commento, un flash, talvolta solo uno sguardo perché ci intendessimo alla perfezione.

Mancherà molto anche agli studenti, con i quali era Maestro esigente e generoso; amava conoscerli “quasi uno per uno, così da poter avere con loro colloqui informali, come ideale prosecuzione delle lezioni; così da poterli accompagnare, in quanto laureandi, nelle prime ricerche di qualche impegno”.

Le sue lezioni, i suoi scritti, le sue idee, le relazioni che ha costruito con tantissimi, senza mai sottrarsi all’impegno, lavorando fino all’ultimo, sono per noi la sua preziosa eredità, un’eredità dolorosa, ma che terremo cara.

Grazie Vittorio, ci mancherai tra questi cortili, dove ci siamo incontrati fino a pochi giorni fa.

 

 

PROF. ETTORE DEZZA, Preside della facoltà di giurisprudenza dell'Università di Pavia


Molte sono le cose accadute in queste ore concitate e dolorose seguite alla scomparsa di Vittorio Grevi. E molte di esse hanno profondamente colpito tutti noi. Ne rammento alcune: il concorde riconoscimento dell’alto magistero e del costante impegno di un grande giurista civile; la partecipazione al nostro lutto da parte delle più alte cariche della Repubblica; la compatta vicinanza al dolore della famiglia, degli amici e dei colleghi da parte dell’intero mondo accademico e professionale, a ogni suo livello; l’intensa partecipazione della città; la grande eco che la mesta notizia ha avuto sugli organi di informazione; la volontà subito manifestatasi di ricordare il maestro scomparso con apposite iniziative.

Ciò che però ha colpito maggiormente chi vi parla è stato lo sguardo stravolto e smarrito di tutti i componenti della Facoltà, e probabilmente dello stesso Preside. È stato come se tutti fossimo piombati, da sabato pomeriggio, nel pieno di un incubo collettivo.

Quando ci accorgeremo, tra poco, che questo che stiamo vivendo non è purtroppo un brutto sogno ma una triste realtà, solo allora capiremo che ciò che per tanti anni ha avuto i contorni della piena normalità quotidiana rappresentava invece per tutti noi professori, ricercatori, dottorandi, studenti e personale tecnico-amministrativo, un raro privilegio, del quale solo a stento ci potevamo rendere conto.

Mi riferisco alla possibilità che ciascuno di noi, dal più autorevole docente a ogni singolo studente, aveva di incontrare anche casualmente Vittorio Grevi nel corso della giornata, e di scambiare con lui idee e opinioni sui più vari argomenti accademici, scientifici e di altra natura.

Mi riferisco al considerare da parte nostra fatto normale e quotidiano leggere sui giornali i suoi contributi rigorosi e limpidi.

Mi riferisco al percepire come fatto di piena ordinarietà il convenire qui a Pavia, su impulso di Vittorio Grevi, dei più illustri studiosi del processo penale per dibattere, con cadenze regolari, i problemi di maggiore attualità e delicatezza.

Mi riferisco al senso di orgoglio non disgiunto da un po’ di stupore con cui noi accoglievamo le parole dei colleghi delle altre università che spesso, e non senza una punta d’invidia, ci ricordavano che noi, a Pavia, avevamo Vittorio Grevi.

Mi riferisco al senso di sicuro presidio che la sua discreta ma costante e quotidiana presenza, attraverso quella finestra sempre illuminata d’inverno e sempre spalancata d’estate, dava inconsapevolmente a tutti noi.

Ora, tra poco, ci accorgeremo che tutto questo –  e molto altro – ci è venuto a mancare per sempre.

Ora, tra poco, ci renderemo conto, troppo tardi, di essere stati – alcuni per parecchi decenni, altri per pochi anni – dei privilegiati. E probabilmente rimpiangeremo il fatto di non avere sempre – scusate il brutto verbo – sfruttato appieno le opportunità che ci sono state date in sorte grazie alla semplice presenza tra noi di Vittorio Grevi. Una presenza in Università protrattasi per quasi tutta la sua vita accademica e che l’anno prossimo, nel 2011, avrebbe toccato il mezzo secolo da quel lontano anno 1961 nel quale, uscito dal Liceo Ugo Foscolo, egli, allievo del collegio Ghislieri, si era iscritto alla nostra Facoltà. Una Facoltà che Vittorio Grevi che non avrebbe più lasciato, salvo una breve e felice parentesi a Macerata.

È stata una scelta non casuale e ben precisa quella di Vittorio Grevi di eleggere Pavia e la sua Università come luogo di vita e di lavoro. In un recente e prezioso scritto – opportunamente valorizzato sul sito internet del nostro Ateneo – egli ci ha illustrato le ragioni profonde di questa scelta di vita. Lo scritto si conclude con queste parole:

“chi ha fatto questa esperienza di studio e di insegnamento, e concepisce la vita (la sua vita) in un certo modo, riesce a non cedere ad offerte esterne, per quanto variamente vantaggiose, ed è contento di rimanere per sempre professore presso l’Università di Pavia”.

Addio, Vittorio Grevi, o meglio, per chi crede, arrivederci Vittorio Grevi, professore per sempre dell’Università di Pavia

 

PROF. MARIO CHIAVARIO, Università di Torino

 

Sento ancora l'eco di quel "sono Vittorio" di venerdì sera. Così uguale e così diverso dal solito: uguale, nella confidenzialità di quarantacinque anni di conoscenza e di amicizia; diverso, per il velo che si avvertiva nella voce e che non sapevo se addebitare a stanchezza sua o mia o a qualcos'altro. Mi ha dato subito lui la spiegazione, alla quale non ho saputo rispondere se non con un urlo di incredulità e di rabbia. Ed è poi stato ancora lui a stemperare i toni, volendo rassicurarmi sulle prospettive che – mi diceva – non erano drammatiche. Anzi, aveva appunto voluto darmi lui la notizia perché, venendola a sapere da altri, non mi preoccupassi più del dovuto …

C'erano lì, tutte, due sue caratteristiche, il senso della misura e l'attenzione per "l'altro", che avevo già sperimentato tante volte, anche (e forse soprattutto) in momenti in cui ci eravamo trovati in dissenso per ragioni piccole o meno piccole...

Tanti altri, gli aspetti di una personalità fuori dal comune, e non sarei io il più qualificato per parlarne in maniera adeguata. Lo si è fatto con accenti toccanti ma veritieri in questi giorni e anche da parte di chi mi ha appena preceduto. Verranno certamente occasioni per farlo con più tempo per approfondire e senza l'angoscia di questi giorni. Mi limiterò pertanto a poche parole, senza pretesa di aggiungere nulla di significativo.

E' stato messo in evidenza, giustamente, il suo forte impegno civile, i cui segni più evidenti si sono potuti leggere nell'attività pubblicistica ma che ha trovato anche altre, e non meno rilevanti, sedi per esprimersi: e penso soprattutto al ruolo di protagonista che ebbe nell'elaborazione del vigente codice di procedura penale. Era un impegno che alla radice aveva una raffinata competenza  giuridica ma che si nutriva di un lucido senso delle istituzioni e di una genuina passione "politica", che lo portava ad essere, come pochi, libero da condizionamenti seppur non ipocritamente "neutrale".

Ed è stata ricordata la sua produzione scientifica, di altissimo livello per qualità e quantità, in una continua e feconda interrelazione con l'attività di docente. E ancora, la direzione di riviste e di collane di volumi. E il coordinamento di programmi di ricerca. E il ruolo di fondatore e di animatore  dell'Associazione tra gli studiosi del processo penale, di cui è stato il primo segretario … Il tutto, tale da suscitare generale ammirazione e in molti non poca invidia.

Non nascondo di aver provato invidia anch'io, forse non tanto per i suoi successi quanto per la consapevolezza, progressivamente acquisita, che lui aveva "una marcia in più", quella dei fuoriclasse. Se però mi è stato chiesto di dire qualche parola in questa tristissima giornata è – io penso – essenzialmente perché sono stato tra i primi testimoni dell'ingresso di Vittorio Grevi in un mondo di cui poi sarebbe presto divenuto uno dei massimi esponenti.

Aveva appena vinto una borsa di studio post-laurea e il suo Maestro, Franco Bricola, gli aveva consigliato di "spenderla" a Torino, sotto la guida di Giovanni Conso. Di Giovanni Conso, aggiungo subito, che – non potendo essere qui fisicamente per le sue condizioni di salute – mi ha incaricato di dire che è presente col cuore e che ci abbraccia tutti.

Certo, allora nessuno poteva immaginare che proprio di Conso sarebbe divenuto il collaboratore più stretto e più autorevole in iniziative come il "Commentario" e il "Compendio". Ma di che stoffa fosse lo si poteva capire subito.

Di quel tempo ho tanti ricordi, anche "extra-accademici": da quelli più legati alla spensieratezza dell'età giovanile (ma non era facile sottrarre Vittorio agli imperativi del suo stakanovismo, anche solo per trascinarlo in una scampagnata domenicale, con un gruppo di amici, a spasso per la collina torinese …) per passare al  comune attaccamento alla Juventus fino agli interminabili colloqui "a tutto campo" sui più vari argomenti, non esclusi quelli sul senso più profondo da dare alla vita di ciascuno.

Ma in questa sede non potrei dimenticare, soprattutto, che in quel tempo già si sono rivelate le premesse di quanto poi in moltissimi abbiamo potuto conoscere dell'uomo, del giurista e del docente.

Intanto, per cominciare da ciò che può sembrare meno degno di nota (e invece non lo è) una formidabile resistenza al lavoro; e insieme una piena disponibilità a sacrificarsi anche in compiti modesti: quante migliaia di pagine di bozze sono passate per le sue mani, senza che rivendicasse pur ineccepibili privilegi "da ospite", per aiutare nella redazione di quelle riviste di cui sarebbe diventato, anni dopo, uno dei direttori … Ma poi, già allora, una straordinaria  attitudine a cogliere e ad approfondire prontamente gli aspetti più problematici di qualsiasi tematica gli venisse proposta, per una nota a sentenza come per una monografia. E, dote particolarmente rara, un'eccezionale capacità di rendere il suo pensiero fluido e comprensibile a tutti, senza farlo diventare banale. Si sa che c'è l'abitudine di chiamare "chiarissimi" tutti i professori universitari, con quella storpiatura dell'espressione latina che si vorrebbe equivalente e differente dal più comune "illustrissimi" ma che, applicata a certe situazioni, può addirittura sembrare una presa in giro. Lui, chiarissimo lo era per davvero, e nel senso più proprio e più pieno.

Dopo il periodo torinese, avrebbe spiccato il volo, verso mete sempre più alte. Agli occhi di tutti noi, quel volo sembra essersi spezzato, ora, e nel modo più inatteso e più crudele. Io sono convinto che continua, in altri cieli e in altri modi. E sono certo che anche qui ne rimane e ne rimarrà,  luminosa, la scia.

 

PROF. GLAUCO GIOSTRA, Università La Sapienza di Roma


Chi mi conosce sa che – anche grazie agli insegnamenti di Vittorio – quando ho avuto occasione di parlare in pubblico, non ho mai letto. Chi mi conosce sa che leggere è l’unico modo, ora, per tentare di portare a termine questo caro, insostenibile compito. Ammesso che mi riesca.

Era un insigne studioso, un docente impareggiabile, un prestigioso editorialista, un “partigiano” della democrazia costituzionale: una delle più belle personalità del nostro Paese, che il nostro Paese non ha saputo valorizzare appieno. Forse perché in questa troppo lunga e troppo desolante stagione di donne e uomini comprabili e comprati, lui non è stato mai in vendita, a nessun prezzo. Non che disdegnasse di poter mettere la sua straordinaria competenza al servizio delle istituzioni, ma per farlo non era disposto non solo a tradire le sue idee, ma neppure ad enunciarle con parole meno esplicite e contundenti di quelle da lui ritenute appropriate. Rispettoso di tutti, servile verso nessuno, non ha mai cercato approvazioni, se non quella della propria coscienza.

Non dell’uomo pubblico, però, vorrei dire, ma del mio grande amico. Un’amicizia morganatica, durata purtroppo “solo” 35 anni, ai quali, da sabato, si aggiungeranno – in una innaturale forma monologante – tutti i restanti giorni della mia vita. Un’amicizia nata quando io, laureando con una tesi sul diritto al silenzio dell’imputato, venni presentato dal mio maestro Conso a lui, già affermato professore, che aveva da poco pubblicato una monografia sul medesimo tema. Subito, pur inesperto, ebbi la consapevolezza di aver   incontrato uno studioso di straordinaria lucidità, un docente di impareggiabile nitore didattico, un interlocutore stimolante e disponibilissimo, una guida attenta, un generoso sostenitore di quei miei primi passi.

Ma soltanto dopo molti anni sono riuscito a superare il suo riserbo, il suo naturale ritegno a parlare di sé, a manifestare i suoi sentimenti, e sono stato ammesso alle sue bellissime stanze interiori, gelosamente presidiate, sempre in penombra e finemente affrescate. Per questo, e solo per questo, riesco a giustificare quanti – non avendo potuto godere di una pluriennale frequentazione con lui – ne hanno ricavato l’immagine di un uomo ad una dimensione: quella, cioè, di un grandissimo giurista con un’etica civile ed un impegno culturale non comuni.

No, Vittorio, possedeva tanti altri insospettabili registri: sentiva, profondissimo, il valore e la responsabilità dell’amicizia; aveva una sensibilità vibratile, ancorché composta nelle sue manifestazioni esteriori; gli erano completamente aliene ipocrisie, invidie o malevolenze; aveva nicchie interiori in cui nascondere e custodire il dolore, la delusione, l’amarezza per il torto subìto, ed anche le sue ansie, i suoi timori, le sue fragilità; sapeva essere ironico ed autoironico, sapeva ascoltare, sapeva capire, sapeva consigliare, sapeva ricevere consigli ed anche critiche, se provenivano da chi gli voleva bene. Vittorio era di una lealtà cristallina: una persona che ti criticava davanti e ti parlava bene alle spalle. Rara avis, specie nel nostro ambiente.

Amava le cose belle: la musica, l’arte, il teatro, il mare, la montagna ed anche i piccoli piaceri della vita, quando il suo esasperato senso del dovere lo autorizzava a goderne.

Con lui si poteva parlare davvero di tutto, anche se facevano tenerezza le torsioni che imponeva al discorso per riandare alle sue passioni di sempre: la giustizia penale e l’università.

Per me era un insostituibile punto di riferimento, e non solo con riguardo ai miei tanti dubbi di carattere giuridico. Era assai improbabile che mi si affacciasse un problema, senza che la sua soluzione  prendesse subito le sembianze di un numero: zero tre otto due, nove otto quattro sei due tre. Lui c’era sempre. Sempre! Ed era immancabilmente accogliente. Pronto a offrirmi un incoraggiamento, una puntualissima informazione, la sua equilibrata opinione, un disinteressato consiglio. E aveva l’incredibile dono di riuscire ad aiutarti, dando  l’impressione di esserti grato per avere cercato proprio lui e avergli dato l’opportunità di esserti utile.

Molti di noi, qui, hanno già dovuto imparare che si muore a rate, mano a mano che la vita ci priva degli affetti più cari. Questa di oggi, per me, è una rata insostenibilmente gravosa, una dolorosa amputazione. E la mia mente, incapace anche solo di prenderne atto, già da molte ore digita compulsivamente, per riflesso automatico, l’s.o.s. di sempre: zero tre otto due, nove otto quattro sei due tre. Ma questa volta, per la prima volta, per la prima di innumerevoli volte a venire, il mio grande amico non risponderà.

 

PROF. VIRGINIO ROGNONI

 

La intensa commozione di tanta gente per il guaio che ha combinato Vittorio andandosene via, così, all’improvviso, dice di Lui molte più cose di quante noi, ora, possiamo pronunciare.

Mai visto questo cortile – anche luogo dell’ultimo saluto della Università ai suoi professori – mai visto questo cortile, questi loggiati così pieni di studenti, di colleghi, di gente comune, di concittadini della sua Pavia. Qui, tutti, per salutarlo, quasi per trattenerlo; ma Vittorio ci è sfuggito di mano, andava troppo di corsa, e la nostra mano è ora vuota, senza appoggio.

Vittorio non amava l’eccesso di parole; ma noi, parlando di Lui, non diciamo parole eccessive, ma solo parole giuste.

Straordinario studioso, ha sempre richiesto ai suoi studenti quella severità e quel rigore che imponeva a se stesso con grande naturalezza. Generosissimo nel dare giudizi e consigli, da più parti cercati; sempre preciso, aggiornatissimo.

Ma di Vittorio, insigne penalprocessualista, altri hanno parlato e altri parleranno.

Qui voglio ricordare soprattutto il suo forte impegno civile, la sua limpida coscienza dei doveri e dei diritti della cittadinanza, di questo nostro stare insieme, tormentato o felice che sia.

A un certo punto l’amicizia che a Lui mi legava – complice anche Pavia, la sua gente, le sue cose, i Collegi, le sue Chiese – quella amicizia si è fatta anche collaborazione. Erano momenti difficili per il nostro Paese ed io avevo bisogno della sua scienza e del suo tecnicismo giuridico; Vittorio mi è stato vicino con discrezione e con i gesti tipici di una superiore signorilità. Egli amava il suo Paese; ne aveva una “narrazione” declinata soprattutto sulle ragioni della libertà e della giustizia.

Le ragioni della libertà; come non ricordare l’entusiasmo che accompagnò l’accettazione dell’invito, fattogli dal Sindaco qualche anno fa, di celebrare il 25 aprile. Un entusiasmo che lo portò a una sorta di appello perché non venisse dispersa la memoria di quella stagione; una stagione di lotta contro il nazifascismo e contro la mediocrità della indifferenza e del tornaconto. Un appello che è la sua autobiografia più autentica; in quel richiamo alla famosa preghiera del “Ribelle”, che Teresio Olivelli scrisse nel pieno della lotta partigiana, alle famose invocazioni “Signore, dacci la forza della ribellione”, “facci liberi e intensi”, “rendi nel dolore all’Italia una vita generosa e severa”. In questo richiamo, appassionato e forte, c’è Vittorio, tutto Vittorio: la sua fede religiosa e laica, insieme, la sua libertà di uomo integro e limpido, il rifiuto suo ad ogni compromissione, quella speranza di cose giuste per il suo Paese che sempre ha accompagnato i suoi studi e la sua ricerca. E, ancora, la memoria insistita e quasi compiaciuta per Teresio Olivelli, ricordato come studente nella facoltà pavese di giurisprudenza e poi come rettore del “Ghislieri”, tradisce tutto l’amore che Vittorio ha sempre avuto per la sua Università, per il suo Collegio, per i suoi studenti.

Le ragioni della giustizia; ragioni, tutte, difese, fatte valere, spiegate nel contesto travagliato della vita italiana. Sta qui la lezione civile di Vittorio. Una lezione che faceva avanzare, certo, gli studi e la scienza del processo penale, ma una voce che si levava anche forte nel dibattito che c’è nel Paese sui grandi temi della giustizia.

Grevi, opinionista del “Corriere della Sera”; questo il ruolo che ha consentito a Vittorio di spendere le sue parole, il suo equilibrio, il suo rigore sui grandi temi della giustizia, ben al di là degli studi accademici. Tutti l’hanno conosciuto; sia quanti attendevano con ansia la sua parola, tutte le volte che si consumavano atti, provvedimenti e anche solo prospettive e opinioni contro la Costituzione e il suo impianto giudiziario, sia quanti questa parola temevano o ne avevano fastidio, per essere su di loro dura e sferzante.

Davvero eccezionale è stata la lezione civile di Vittorio nella tormentata stagione che vive oggi il Paese. Si direbbe che la sua penna è stata come la frusta contro i mercanti cacciati dal Tempio.

Grazie, Vittorio, per quello che hai fatto; tutti ti siamo riconoscenti. Ci mancherai; ci mancherai soprattutto nei momenti bui per la libertà e la giustizia; molti sono sempre i “mercanti” che si aggirano e troppo estesa è l’assuefazione alla miseria morale, madre di tutte le corruzioni, e alla mediocrità dei gesti e dei comportamenti.

“Signore facci limpidi e diritti”, direbbe ancora una volta Vittorio, con le parole del “ribelle per amore”; e il suo, certamente sarebbe, l’esempio di un uomo “limpido e diritto”.

Università degli Studi di Pavia
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